La Federazione football di Pechino non ha apprezzato e ha aperto un’inchiesta: «Il terreno di gioco non è un luogo religioso e celebrare un rituale in un luogo pubblico come lo stadio non è nè appropriato nè conforme all’immagine del calcio professionistico», si legge in un comunicato. La salvezza si trova nei gol, non nelle preghiere. Il Partito permette i movimenti religiosi, ma vuole che restino confinati nei luoghi di culto ufficiali. La faccenda è finita sui giornali, corredata da foto della cerimonia taoista: i religiosi, in abito talare nero, hanno innalzato un altarino in area di rigore e lo hanno coperto con bacchette d’incenso, un drappo giallo e gagliardetti con la scritta «Il Jianye vincerà, lo vuole il Cielo, è il desiderio divino». Fatto sta che la squadra di Zhengzhou nella provincia di Henan si è riscossa vincendo. Toccato finalmente dalla grazia anche l’attaccante Ricardo Vaz Te, ex West Ham, che ha segnato il gol d’apertura. I dirigenti del club sostengono di essere stati estranei al rito taoista, organizzato autonomamente dai tifosi. I giocatori, Ricardo Vaz Te in testa, ammettono di essere stati «commossi» dall’atteggiamento dei fan e di aver raddoppiato gli sforzi.
Il taoismo, originato in Cina più di duemila anni fa, è una filosofia e una religione che indica la giusta via unendo gli opposti. Un altro club di Super League si è affidato invece al feng shui: è il Guangzhou R&F, che a luglio ha ridipinto d’oro (era blu) il suo stadio, credendo che il colore fosse migliore per la massimizzazione della fortuna e della salute dei giocatori. In effetti nello stadio dipinto d’oro la squadra non ha mai più perso. Ridipingere un intero stadio non è impresa da poco: in confronto, il sale che spargeva il presidente Romeo Anconetani ogni maledetta domenica sul prato del Pisa era uno scherzo.