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14 Dicembre 2017 Un nome ti cambia la vita

Un nome ti cambia la vita

Quando porti nome e cognome di un personaggio importante, vip e politico, non sempre la tua vita ti riserva episodi comici, come si pensa, a volte puo’ diventare un “inferno”.

Il telefono di casa che squilla “h24”, i fan che ti assediano la casa e altre ‘rotture’ varie. E’ quanto emerge da un’indagine del settimanale “Grazia” che ha intervistato persone comuni che hanno pero’ la sfortuna di chiamarsi con nomi celebri.

Si comincia con la signora Monica Bellucci, 48 anni, bionda con gli occhi azzurri, vive a Roma, è casalinga e madre di tre figli. Ha molti ammiratori che la insidiano e un giorno, stufa di un pretendente che si struggeva per la vera Bellucci, ha deciso di vendicarsi: gli ha dato un appuntamento davanti ad un teatro e poi non si è presentata.

Poi c’è Maria De Filippi, di Bologna, quando ha cercato di segnalare un guasto alla linea telefonica si è sentita rispondere dall’operatore: “Che fa signora, ci prende in giro?”.

L’omonima di Simona Ventura, invece, vive in Emilia e fa l’operaia in una fabbrica di pompe idrauliche: “Sono bionda come Simo, ma ho gli occhi azzurri. E ogni volta che ricevo promozioni gratuite dalle compagnie telefoniche mi chiedo come mai”. E aggiunge: “Io Stefano Bettarini me lo sarei tenuto in casa volentieri…”.

Più audace il signor Bruno Vespa, omonimo del conduttore di Porta a Porta. Ora è in pensione ma prima faceva il muratore e un giorno ha tentato di dare una svolta alla sua vita chiamando proprio Vespa alla Rai, per chiedergli un lavoro.

Due omonimi di Umberto Bossi non si divertono affatto a portare questo nome: come Bossi vivono nella provincia di Varese ma non sono affatto leghisti.

Antonio Di Pietro, romano, fa il pilota dell’Alitalia e racconta: “Ho ricevuto diversi messaggi d’amore indirizzati all’ex magistrato. Quando l’ho incontrato sull’aereo l’ho abbracciato e gli ho detto “Che momenti mi hai fatto passare”! Oramai è come se fossimo parenti”. Non tutti però la prendono con filosofia.

I tre Riccardo Scamarcio che vivono nella stessa cittadina pugliese (Andria) in cui è nato l’attore, non ne possono più di lettere, telefonate e assedi da parte della ragazzine che non si arrendono neanche davanti all’evidenza.

14 Dicembre 2017 Pittore con le chiappe

Pittore con le chiappe

Usa, Stephen Murmer, insegnante d’arte, usa il fondoschiena al posto del pennello per realizzare i suoi quadri.

Un insegnante d’arte americano è stato sospeso dopo che il suo capo ha saputo che era solito dipingere i suoi quadri usando il fondoschiena come pennello. Stephen Murmer, questo il nome del bizzarro artista, ha anche aperto un sito internet, buttprintart – in cui spiega la sua personalissima tecnica di pittura e ne dà dimostrazione con un video (visibile qui sotto).
I suoi quadri di solito ritraggono fiori e farfalle e costano all’incirca dai 290 ai 520 dollari. Quando appare nei video il professore-artista usa travestirsi da Groucho Marx, con tanto di naso, occhiali e baffi finti, come si può vedere nel filmato in cui il docente, solo con un tanga nero addosso, si adopera in favore delle telecamere per mostrare come si dipinge un quadro utilizzando proprio le “chiappe” come pennello.
Nel frattempo il consiglio d’istituto della scuola in cui lavorava sta valutando se riammetterlo all’insegnamento, considerata l’originalità della sua arte.

13 Dicembre 2017 #Facebookdown: 20 minuti di ‘panico’

#Facebookdown: 20 minuti di ‘panico’

Facebook down. Il social di Zuckerberg si blocca per venti minuti ed è subito panico fra gli utenti, che passano temporaneamente alla concorrenza su Twitter per ricevere conferme del blocco. Ma non è tutto: a rimanere inattiva per diversi minuti è stata anche Instagram, la popolare app dedicata alle immagini che si è fermata nello stesso esatto momento. Il problema sembra essere stato risolto, ma al momento non si registra alcuna comunicazione in merito da parte del colosso di Menlo Park.

13 Dicembre 2017 OGGI E’ LA FESTA DELL’ARANCINO!

OGGI E’ LA FESTA DELL’ARANCINO!

Oggi 13 dicembre si celebra tradizionalmente la giornata di uno dei prodotti siciliani più rappresentativi ed apprezzati del mondo: l’Arancino.

L’arancino, così definitivamente sancito dall’autorevole Accademia della Crusca, sintetizza nella forma e nei sapori le varie influenze storiche presenti nella nostra isola: il riso e lo zafferano rimandano alla dominazione araba, il ragù a quella francese, il pomodoro alla spagnola, il formaggio alla greca.

La forma e il colore rimanderebbero a quella delle arance, altro simbolo della cucina sicula. Nell’area catanese, si sostiene che la forma a cono sia una sorta di omaggio all’Etna: infatti togliendo la punta, il vapore e il formaggio fuso che fuoriescono, rimanderebbero all’attività eruttiva, come il rosso del pomodoro e la lava, si rifarebbero al magma e alla lava.

L’arancino nasce nel periodo della dominazione saracena, quando c’era l’abitudine di disporre al centro della tavola,un ricco piatto di riso aromatizzato allo zafferano e condito con verdure e carne. Il prototipo, per così dire dell’arancino è un semplice timballo di riso, da mangiare a piene mano. A dare la forma tondeggiante e arricchirlo con una panatura fu, secondo la leggenda, il sovrano Federico II, il quale volle rendere trasportabile nei suoi soggiorni questa pietanza di cui andava ghiotto. La panatura croccante assicurava un’ottima conservazione del prodotto culinario.

 Con l’importazione dei pomodori, al timballo venne aggiunto anche questo ortaggio. Inoltre nel corso del tempo e nella parte della sicilia orientale, gli arancini hanno assunto anche una forma sferica.

Variano anche per forma e dimensione. A Palermo si presentano di ragguardevole mole e tondeggianti, nel catanese più contenuti con forme che identificano il ripieno:
-base piatta e punta a ogiva con il sugo di carne;
-tondeggiante con il burro;
-ovoidale con pollo o spinaci.
Spesso nell’area catanese il riso non è trattato con lo zafferano, ma risulta bianco o prende un leggero colore roseo dal sugo di carne.

Gli arancini più diffusi in Sicilia sono quello al ragù (con piselli e carote), quello al burro (con mozzarella e prosciutto) e quello agli spinaci (conditi anch’essi con mozzarella), mentre nel catanese sono diffusi l’arancino alla catanese (con melanzane) e quello al pistacchio di Bronte. Esistono infatti ricette dell’arancino che prevedono, oltre ovviamente al riso, l’utilizzo di funghi, di salsiccia, di salmone, di pollo, di pesce spada, di frutti di mare, addirittura di nero di seppia. Ne esistono varianti dolci: gli arancini vengono preparati con il cacao e coperti di zucchero (vengono preparate solitamente per la festa di Santa Lucia); alla crema gianduia (soprattutto nella zona di Palermo) e al cioccolato, questi ultimi reperibili a Modica durante l’annuale sagra del cioccolato. Una variante degli arancini, rotondi e più piccoli, è anche diffusa come prodotto tipico delle friggitorie napoletane, note come palle di riso (Pall’e riso).

Per la preparazione si fa cuocere al dente del riso a chicchi tondi, si impasta con burro e pecorino e si fa raffreddare su un piano di marmo. Formati dei dischi di questo impasto, si pone al centro di ciascuno una porzione di farcitura e si chiudono. Successivamente, si passano nell’uovo sbattuto e nel pangrattato, pronti per essere fritti.

Gli arancini di riso rappresentano spesso il primo incontro gastronomico con la cucina siciliana, dove il cibo di strada, lo street food così tanto rivalutato, viene offerto a tutte le ore da friggitorie, forni e bancarelle. Amato, e esportato in tutto il mondo, spesso anche contraffatto, questo prodotto enogastronomico ci rappresenta egregiamente e noi siamo qui lieti e orgogliosi di celebrarlo.

Non mancano riferimenti nella letteratura, come non ricordare Federico De Roberto nei Vicerè e soprattutto A. Camilleri che ha reso il suo personaggio, il Commissari Montalbano un ghiottone di arancini.

13 Dicembre 2017 COME SI FESTEGGIA SANTA LUCIA IN SICILIA

COME SI FESTEGGIA SANTA LUCIA IN SICILIA

Il 13 dicembre è il giorno dedicato a Santa Lucia, festività celebrata nei paesi nordici come la Svezia e, in Italia, soprattutto in Sicilia, la terra natale della Santa.
Si tratta di una festa molto sentita, in cui il gioioso clima pre-natalizio si affianca alla commemorazione religiosa di una delle martiri più care.
Santa Lucia nacque a Siracusa nel 283 e fu decapitata in seguito alle persecuzioni anticristiane di Diocleziano. Il 13 dicembre, giorno in cui ricorre il martirio della Santa, a Siracusa si espongono drappi e tappeti sui balconi per accompagnare la processione che attraversa la città. La statua d’argento che raffigura la Santa,opera di Pietro Rizzo, capolavoro dell’oreficeria siciliana del XVI secolo, resta esposta presso la Basilica di Santa Lucia al Sepolcro fino al 20 dicembre. Questa statua, alta quasi quattro metri, racchiude in una teca d’oro, dei preziosissimi frammenti delle costole di Santa Lucia, le cui spoglie sono conservate a Venezia.
Il 20 Dicembre la festa si conclude, con il rientro della statua alla Cattedrale, portata in spalla dai “berretti verdi” della confraternita dei falegnami.
Inoltre, il 20 dicembre, in occasione della processione per l’ottava di Santa Lucia, la città usa ospitare una “Lucia di Svezia”, cioè una ragazza svedese che rappresenta Lucia, e che presenta il capo cinto di una corona di candele.
La luce e Lucia hanno un legame strettissimo. Santa Lucia è la Santa che protegge la vista e quindi la luce dei nostri occhi, ed è la Santa che si festeggia nei giorni in cui anticamente si svolgevano rituali per propiziare il successivo ritorno della luce -il 21 dicembre giorno del solstizio invernale-. Forse anche per questo la tradizione vuole che si accendano fuochi per la vigilia della festa.
Una certa iconografia raffigura la Santa recante un mazzo di spighe e un piatto con gli occhi. A volte la tazza reca una fiaccola ed è per questo che viene accostata alla dea greca Demetra o alla romana Cerere,che venivano rappresentate cone un mazzo di spighe e la fiaccola.

In questo giorno per Santa Lucia “si cuccìa” (3.a persona singolare di “cucciàri” derivato da “còcciu” cosa piccola, chicco). Si racconta che Siracusa fu colpita da una grave carestia, durante la dominazione spagnola. Nella disperazione del momento giunse una nave carica di frumento e che questa circostanza sia stata ritenuta un miracolo. I siciliani fecero bollire il grano e vi aggiunsero un filo d’olio: nacque così la “cuccia”. Da quel momento alla devozione per Santa Lucia è stato associato l’uso del mangiare cuccia.

Durante questi giorni di festeggiamento e’ bandito l’uso di pasta e pane e si usa consumare solo verdure e legumi, le arancine e la cuccia, piatto tipico a base di grano e legumi, in alcune località, e dolce a base di grano bollito e crema di ricotta, a Palermo. Anticamente era anche un piatto salato (grano cotto con verdure), ma che ora e’ esclusivamente un piatto dolce. Tale uso non e’ che sia strettamente siciliano, lo troviamo un po’ dovunque nelle regioni meridionali (sardegna compresa); basti pensare alla “pastiera”.
L’esecuzione del piatto e’ molto varia: si parte da grano ammollato per 2-3 giorni e quindi cotto in genere nel latte.
Il resto poi e’ fantasia: crema di ricotta, crema di cioccolato, vin cotto, cannella, polvere di cacao, zuccata, ciliege candite, granella di pistacchio. Ognuno la fa a proprio gusto.
Altra usanza, invece, è quella di fare dei piccoli pani a forma di occhi, da benedire, che vengono consumati per tenere lontane le malattie connesse alla vista.
Il sentimento comune che vuole che Santa Lucia aiuti la vista è confermato dal Pitrè che scrive che “serba sani gli occhi dei suoi devoti”, che rinunciano a mangiare pane e pasta il 13 dicembre.

A Palermo, il giorno che dovrebbe essere di astinenza dal pane e dalla pasta diventa il pretesto per consumare arancine in abbondanza. Anche se oggi vengono proposte nei più svariati modi, la classica arancina palermitana è quella con la carne. La tradizione vuole che questo dolce sia distribuito a familiari, amici e vicini di casa. Le briciole si lasciano su tetti per essere catturate dagli uccellini. A Palermo è stata ideata una versione alternativa e golosa della “cuccia”, unendo crema di ricotta e scaglie di cioccolato al grano. Questo dolce è preparato dalle pasticcerie palermitane esclusivamente il giorno di Santa Lucia.
Anche in tutto il resto della Sicilia si svolgono processioni e numerose manifestazioni cittadine per commemorare la Santa protettrice della vista.

A Catenanuova la Festa di Santa Lucia contempla una processione del simulacro di Lucia per le vie cittadine.
Anche a Belpasso si festeggia Santa Lucia, con celebrazioni religiose e manifestazioni cittadine, che cominciano prima del 13 dicembre: il 12 dicembre, per le strade del paese, si svolge la processione delle Sante Reliquie, mentre la sera sfilano i carri di Santa Lucia, raffiguranti momenti della vita della Santa. Essi sono costituiti da marchingegni meccanici conosciuti solo dal maestro e da pochi collaboratori. La festa prosegue il giorno seguente con lo svelamento del simulacro della Santa, il Pontificale in Chiesa, officiato dall’Arcivescovo di Catania, la processione con il simulacro.
La festa coinvolge diverse regioni italiane: secondo le tradizioni del Nord Italia, a Brescia, Bergamo, Cremona, Piacenza, Alessandria, Verona, Trento, Chieti nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, la Santa attraverserebbe le vie dei borghi e delle città, in compagnia del suo asinello, lasciando doni per i bambini sulla soglia della porta. È uso che i bambini indirizzino alla santa una letterina e, la notte dell’arrivo, preparino sul davanzale della finestra del cibo, acqua e paglia, in vista del suo passaggio. Guai però ad aspettare alla finestra: la Santa si farà attendere, senza manifestarsi e senza lasciare alcun presente!
La Santa è festeggiata anche in Campania e Sardegna, nella zona della Mermilla, dove a questa figura viene raccomandata la famiglia e le figlie femmine non sposate, affinché trovino marito.
Nel Nord Europa (Danimarca e Svezia) le figlie primogenite usano vestirsi di bianco, con un nastro rosso in vita e una corona di rami e sette candele in testa, per portare dolci e pan pepato ai famigliari, in compagnia delle sorelle. In particolare, nei paesi nordici, la festività si carica di un forte aspetto simbolico: è il giorno più breve dell’anno.
In Brasile, dove la festa è stata esportata, i bambini preparano un piattino con del fieno, da sistemare sotto il letto, in vista dell’arrivo della Santa che porterà loro i doni.
12 Dicembre 2017 Dicembre 1981: il brano “Don’t You Want Me” degli Human League #1 delle hitchart

Dicembre 1981: il brano “Don’t You Want Me” degli Human League #1 delle hitchart

Il 12 Dicembre del 1981, gli Human League piazzarono il loro primo single nella Ita Singles Chart: “Don’t You Want Me”.
Fu il singolo più venduto del periodo natalizio di quell’anno e il primo della Virgin Records a ottenere questo risultato.
Pensate che la canzone non piaceva per nulla al cantante e leader del gruppo Phil Oakey, che la volle relegare come ultima traccia dell’album “Dare”.

Classifica del 12/12/1981

  1. Don’t You Want Me – Human League
  2. Sharazan – Al Bano e Romina
  3. Bette Davis eyes-Kim Carnes
  4. Rock’n’roll robot-Alberto Camerini
  5. He’s a liar-Bee Gees
  6. (Out here)On my own-Nikka Costa
  7. Reality – Richard Sanderson
  8. Lo stellone – Sbirulino
  9. M’innamoro di te-ricchi e poveri
  10. You can’t stay the night-Miguel Bosè
12 Dicembre 2017 Ecco perché diciamo che “Fa un freddo cane”

Ecco perché diciamo che “Fa un freddo cane”

Sapevate perché si utilizza questa espressione? Vi sveliamo il motivo

Il freddo è arrivato, puntuale come i Babbo Natale arrampicatori sui cornicioni dei palazzi e le lucine intermittenti lungo le strade.

Mentre cercate di indossare quanti più maglioni possibili, di sicuro avrete sentito dire in giro la classica frase che caratterizza i tristi giorni di temperature polari: “oggi fa freddo cane”.

Ma vi siete mai chiesti come mai si prende ad esempio proprio il migliore amico dell’uomo come animale emblematico della stagione che si appresta ad incominciare?

Noi si. Ora vi sveliamo il motivo: se al giorno d’oggi queste bestiole vengono agghindate di tutto punto dai loro padroni (pensate alla sfilata di amici quadrupedi di ogni razza, all’inizio del film La carica dei 101) con piumini da neve, doposci, sciarpa e cappellino di lana, nel passato non era così.

Anzi, i poveri animali a quattro zampe erano costretti ad essere relegati fuori dalle abitazioni, con tanto di lacci e catene, a patire le intemperie. Ecco perché si associa il gelo alle sofferenze che i poveri cagnolini erano costretti a subire sulla propria pelle (nonostante la pelliccia che li ricopre).

I più curiosi e intenditori, però, sapranno senz’altro che c’è una seconda spiegazione all’espressione che stiamo analizzando. Si tratta di una consuetudine legata alle popolazioni artiche: gli eschimesi, come noi, utilizzano il detto “oggi ha fatto un freddo cane” alternato a quello meno diffuso “ha fatto freddo per due cani” per descrivere una temperatura così bassa da spingere a far entrare gli amici animali all’interno delle tende, in modo da avere dei termosifoni viventi e potersi riscaldare meglio.

Contenti? Adesso, oltre a lamentarvi per i primi malanni di stagione, avete un altro argomento di conversazione da spendere in queste giornate “canine”, magari davanti a una tazza di tè bollente.

12 Dicembre 2017 Arriva la colla vaginale per le mestruazioni (e non è uno scherzo)

Arriva la colla vaginale per le mestruazioni (e non è uno scherzo)

Sembra un rossetto, ma serve per evitare l’utilizzo di tamponi e assorbenti. Ecco come

I giorni del ciclo (ma anche il prima e il dopo) sono costellati da stress, dolori, crampi e pomeriggi di agonia sotto il piumone con borsa dell’acqua calda? C’è un’invenzione che, invece che attenuare tutto ciò, sembra aver scatenato ancora di più il nervosismo femminile.

Si tratta di un’idea piuttosto stramba, “partorita” dalla mente del dottor Daniel Dopps, del Kansas: una colla vaginale.

Stiamo scherzando? Purtroppo no. Quest’oggetto, che ci disgusta al solo pensiero, altro non è che un composto naturale fatto di oli e di amminoacidi, confezionato in una confezione accattivante come quella di un rossetto. Ma come può un elemento base del make up di ogni donna trasformarsi in uno strumento per contenere il flusso mestruale?

Preparatevi a sfiorare livelli di trash mai raggiunti: se il rossetto si stende sulle labbra della bocca, dando quel tocco di rosso che le rende più sensuali, la colla vaginale va applicata sulle labbra della vagina.

La “rivoluzione mestruale” si basa sul principio che, se si incollano le piccole labbra tra loro, si ottiene una sorta di coppetta naturale che blocca la fuoriuscita del flusso mestruale, rendendo obsoleti i vari assorbenti e tamponi.

C’è comunque qualche dubbio sulla “tenuta” effettiva della colla, e sul versante igienico di tutta la questione.

Si impone anche un grande dubbio: come faremo a fare pipì? Il dottor Dopps proprio a tutto: nel momento del bisogno, la colla si scioglie e dovrà essere nuovamente applicata.

Siete curiose di provare l’ultimo ritrovato della scienza? Al momento non la troverete in commercio ma sono state create le pagine Facebook e Twitter dedicate all’invenzione del secolo, oltre che un sito ufficiale.

I commenti negativi sono arrivati puntuali come fanno le mestruazioni quando abbiamo una vacanza programmata, e si sono espressi in modo scettico rispetto agli effetti della colla. Il dottor Dopps è stato anche accusato di misoginia e di non capire assolutamente l’anatomia femminile.

A lui è bastato rispondere commentando così uno dei messaggi ricevuti:

“Lei, in qualità di donna, avrebbe dovuto trovare una soluzione migliore agli assorbenti e ai tamponi, ma non l’ha fatto. Una ragione potrebbe essere che le donne, in quel periodo, sono distratte per il 25% del tempo, il che le rende molto meno produttive di quanto dovrebbero essere. Le donne tendono ad essere molto più creative rispetto agli uomini, ma il ciclo le opprime e gioca con le loro teste”.

Insomma, dati i toni avvelenati, possiamo supporre che la prossima invenzione di questo lungimirante medico sarà la colla per sigillare la bocca alle tante “nemiche” che si sta creando.

11 Dicembre 2017 Scontrino shock al giapponese: sul conto c’è scritto “Tavolo ciccione”

Scontrino shock al giapponese: sul conto c’è scritto “Tavolo ciccione”

È successo a Roma, a un gruppo di ragazze che pranzavano in un locale nel quartiere Parioli. Nessuna spiegazione da parte dei titolari

Oltre al danno, la beffa.

È quello che avranno pensato le tre ragazze protagoniste di un increscioso episodio accaduto in un ristorante giapponese della capitale.

E dire che il popolo asiatico era rinomato per la sua gentilezza e cortesia!

Ma andiamo con ordine. Le ragazze hanno pranzato amabilmente in compagnia di un loro amico, ridendo e scherzando tra sushi e sashimi, e poi hanno chiesto il conto. E qui arriva il bello, perché sullo scontrino che si sono viste recapitare è apparsa un’intestazione ben poco adatta al bon ton: “Tavolo 86 – ciccione”.

«Eravamo a pranzo, tre ragazze con un nostro amico  quando abbiamo chiesto il conto tramite il tablet posizionato sul tavolo: poco dopo ci è stato consegnato questo scontrino con l’indicazione di ‘ciccione’. Inizialmente ci abbiamo riso un po’ sopra. Ma quando siamo andati alla cassa abbiamo chiesto spiegazioni e la persona che era lì in quel momento non ci ha detto nulla: ha preso quel foglio di carta, che era un pre-scontrino, e lo ha accartocciato davanti a noi».

Elena B., biologa di Sassuolo, che era al tavolo coi suoi amici romani ed è rimasta a dir poco basita, sintetizza così l’accaduto e aggiunge:

«Quando ce lo hanno dato non volevamo credere ai nostri occhi. Inizialmente ci abbiamo riso un po’ sopra. Ma quando siamo andati alla cassa abbiamo chiesto spiegazioni e la persona che era lì in quel momento non ci ha detto nulla: ha preso quel foglio di carta, che era un pre-scontrino, e lo ha accartocciato davanti a noi».

Certo, lì per lì la combriccola ci ha riso su, complice anche la porzione di uramaki appena gustata, ma il retrogusto è stato vagamente amaro.

Nessuna spiegazione? Neanche una parola di scuse? No, silenzio assoluto. Per giunta, una delle ragazze presenti si è spesso trovata ad avere problemi con la tagli indossata. Perché infierire?

Insomma, forse si è trattato solo di una svista o di un scherzo (di cattivo gusto), ma in ogni caso ai titolari del ristorante “JinJa” – nel quartiere Parioli – e probabilmente al cameriere distratto, questa “leggerezza” potrebbe costare molto cara.